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Febbraio 23 2006 | Scacchi strategia

 

X – Altri aspetti della battaglia scacchistica


L’aspetto psicologico

“Io gioco contro la posizione, non contro l’avversario” si sente dire sovente in quella che è più una dichiarazione d’intenti che una realtà. Se questo atteggiamento di fronte alla scacchiera è una ricerca di obiettività allora siamo d’accordo ma se invece si intende che non si rimane influenzati da chi si ha di fronte e da tutto il contorno, ho l’impressione che sia una pia illusione e, in una certa misura, anche una falsità. Chi infatti si asterrebbe da giocare una novità teorica, a lungo preparata in analisi casalinghe, per giocare la variante considerata migliore dalla teoria e che sappiamo essere ben conosciuta dall’avversario? Nella dodicesima partita del campionato del mondo del 1985, Garry Kasparov non esitò a giocare l’interessante ma dubbio gambetto che avrebbe poi preso il suo nome. Fu una mossa calibrata su misura per Karpov, dove più che la “verità” scacchistica contava il vantaggio di giocare una variante ben studiata e soprattutto inedita. Karpov riuscì a pattare quella p~rtita e forse non si aspettava che lo sfidante riproponesse il sacrificio, come invece accadde, nella sedicesima. Il colpo riuscì e Kasparov vinse una importante partita, versa svolta psicologica della sfida.
Il primo a teorizzare l’arma psicologica negli scacchi fu Emanuel Lasker, campione del mondo dal 1894 al 1921. Egli giocò esplicitamente tenendo conto delle caratteristiche psicologiche dell’avversario e grazie ad esse colse innumerevoli successi. Buona parte delle sue partite erano perse poco dopo l’apertura ma, tra la sorpresa generale, riusciva a vincerle.
Gli errori psicologici che si possono commettere sono molti. Quello di partire sconfitti è un atteggiamento più comune di quel che si immagini e porta a fare mosse rinunciatarie o giocare mosse rischiose senza un calcolo adeguato: “Tanto perdo lo stesso”, si pensa in questi casi. Bisogna imp~r,are a affrontare i giocatori più forti col massimo impegno; le partite con essi devono essere di stimolo, non di sconforto.
Un altro atteggiamento sbagliato, di cui sono stato vittima anch’io, è farsi cogliere dal panico in caso di una mossa inaspettata. Ho imp;1rato tardi come fare; un tempo ero solito rispondere subito a una mossa imprevista per non mostrare di essere stato colto di sorpresa, e così, spesso e volentieri, perdevo non tanto per la forza della mossa imprevista quanto piuttosto dell’errore nella risposta non ponderata. Questo modo di fare era così spontaneo che non mi rendevo nemmeno conto di averlo. Scoperto il difetto mi imposi, dopo una mossa imprevista, di gurdare il soffitto e contare fino a dieci prima di immergermi nelle analisi. Questo inusuale atteggiamento doveva apparire buffo ai miei avversari ma la cosa funzionò e imparai ben presto a correggere il difetto. Le mosse inaspettate, quando buone, non sono incidenti di percorso come credono molti scacchisti ma devono suonare come un campanello di allarme. Possono semplicemente essere sintomo di stanchezza ed allora, mentre l’avversario pensa, è bene alzarsi e fare un giro nella sala di gioco per distrarsi un po’, ma possono anche essere rivelatrici di lacune tattiche o strategiche. Per questo la posizione precedente alla mossa che ci ha sorpreso va sempre riesaminata con cura cercando di capire i motivi che hanno reso cechi. Talvolta si diventa “ciechi” in seguito a una costante iniziativa. Si desidera così tanto trovare la continuazione vincente che si finisce col pensare solo a mosse d’attacco e si trascurano le minacce avversarie. In questi casi, se i danni non sono irreparabili, la mossa imprevista può avere l’effetto salutare di un ritorno alla realtà. Ma, in generale, non è bene scherzare col fuoco, occorre imparare a mantenersi sempre distaccati e obiettivi di fronte a qualsiasi posizione. Ecco, se una cosa insegnano gli scacchi questa è l’obiettività: gli scacchi sono una delle poche attività umane dove non si fanno progressi se non si impara ad essere obiettivi e moderati nei giudizi. Da questo punto di vista sono veramente una palestra in cui si verificano continuamente le idee proprie e altrui Chi fa affermazioni a priori, chi si incaponisce nel dimostrare l’indimostrabile va incontro a cocenti sconfitte. Il grande maestro tedesco Uhlmann continuò per un pezzo a giocare una certa variante della Francese incurante che fossero state trovare linee molto buone per il Bianco e naturalmente perdeva una partita dietro l’altra. A chi gli chiedeva come mai continuasse a giocare una linea palesemente sbagliata rispondeva: “Perché non ho fatto altro per tutta la vita!”.


Chiudo qui queste brevi note ma chi fosse interessato ad avere un atteggiamento sano durante un torneo, può leggere la tesi di laurea in psicologia del grande maestro N. V. Krogius, tradotta in italiano da Roberto Paniagua, e pubblicata con il titolo “Scacchi e creatività” (Abano Terme, Francisci editiore, pp. 109, 1984) oppure il lavoro di Hartston e Wason “The Psychology of Chess” (London, Batsford, pp. 138,1983)

Gli scacchi come lotta

Gli scacchi competitivi non sono un balocco, un gioco con cui ci si trastulla e si passano ore piacevoli e spensierate. Sono una competizione intellettuale dura anche se costellata di bellezza. Questo potrà scandalizzare molti puristi del gioco e certi moralisti. Komeini li proibì e anche il famoso educatore don Lorenzo Milani redarguì con severità due allievi trovati intenti a giocare a scacchi e così si espresse sull’argomento in una famosa lettera: “E non si gioca a scacchi mai, perché non esiste gioco più profondamente immorale laddoveché richiede concentrazione intellettuale, mentre un gioco, anche a volerlo concedere, ma non lo concederei neanche così, deve essere almeno distensivo” (Lettera a V. Lampronti).
A queste opinioni ne fanno da contrappunto altre più rassicuranti: “Come l’amore e come la musica, gli scacchi hanno il potere di far felici gli uomini” ebbe a dire Siegberg Tarrasch; oppure: “Andando sulla Luna l’uomo si è avvicinato agli dei, giocando a scacchi egli è da tanto tempo con loro”.
La bellezza negli scacchi, per quanto scaturisca da aspetti razionali e misurabili, li accomuna all’arte ma la competizione spinta li fa assomigliare a uno sport.
Nei tornei di un certo livello questi due aspetti sono entrambi presenti. Quello che tanto attrae in questo gioco a informazione completa, e dove la fortuna ha un ruolo marginale, è mettere le proprie capacità a confronto con quelle di altri. In questo senso la vittoria equivale a un’iniezione di fiducia in se stessi purché non costellata da errori propri o grossolanità dell’avversario. Altrimenti rimane sempre un quid di insoddisfazione. Alekhine si lamentava degli errori degli avversari che non gli consentivano di creare quei capolavori della scacchiera che desiderava e intravedeva; e chi, partecipando a un torneo, non ha mai visto un giocatore scuotere il capo e dire sconsolato: “Ho vinto ma ho giocato male”. Il maestro genovese Federico Cirabisi è noto per giocare con spirito Romantico. Alla fine di un torneo disastroso egli può essere il giocatore più felice del torneo purché sia riuscito a giocare una partita da “premio di bellezza”.
Nella partita che segue i giocatori si affrontano a viso aperto in una lotta avvincente.

“Gli scacchi sono uno sport” ebbe a dire una volta il noto pittore francese Marcel Duchamp “uno sport violento”. E pur nel paradosso forse colse un’importante verità.
Ci sono giocatori che fanno di ogni partita un’avventura epica, Kasparov e Kortschnoi rientrano in questa categoria e non a caso i loro incontri sono particolarmente combattuti, altri, come lo fu in sommo grado Capablanca, che invece sembrano ridurre tutto a una questione di migliore strategia.
Indipendentemente dall’indole del giocatore (semmai egli si costruirà un repertorio che rispecchi il suo modo di vedere gli scacchi) talune aperture conducono a partite di grande complessità. E’ il caso di Dg4 nella Variante Vinawer della difesa Francese, e la partita che segue ne è un esempio. Entrambi i giocatori sono alla ricerca costante dell’iniziativa ed è difficile dire, in qualsiasi momento, chi tenga le redini della partita. Solo all’entrata in finale le cose si chiariscono e il Bianco in pochi tratti efficaci evita al Nero una lunga agonia.

Come prepararsi a un torneo di scacchi

Ci sono giocatori che disputano un torneo dietro l’altro senza alcuna preparazione, come andassero in villeggiatura. Eppure, più che giocare tantissimo è importante giocare con la massima serietà i tornei cui si decide di partecipare.
Se si desiderano ottenere risultati occorre un minimo di preparazione, dove per minimo si deve intendere:
1) controllare le linee di apertura che si è soliti giocare, sia per rinfrescare la memoria che per valutare eventuali novità teoriche introdotte nella pratica dei tornei;
2) analizzare le proprie partite dei tornei precedenti, in modo speciale quelle perdute. Trovare gli errori e formulare il piano corretto;
3) se possibile, ma non strettamente necessario, giocare una o due partite di allenamento con un giocatore di forza pari o maggiore, col tempo previsto dal bando di gara del torneo cui si intende partecipare;

Nella trasferta non occorre portarsi dietro l’intera Enciclopedia degli Scacchi, basta un buon libro di teoria delle aperture; inoltre è bene avere un con sé un libro sui finali, nel caso che la partita venga sospesa.

Quando si a un torneo di forza magistrale è utile disporre di un computer portatile con un data base elettronico per conoscere in anticipo le aperture degli avversari. In mancanza di un computer si può facilmente creare un proprio schedario annotando le aperture che giocano gli altri partecipanti ai tornei ai quali si partecipa; Il data base può servire anche come ausilio per lo studio. A costi non eccessivi il mercato ne offre diversi, tutti ormai piuttosto sofisticati e con centinaia di migliaia di partite già disponibili. Le funzioni principale di un data base di scacchi sono: a) ricerca delle partite per giocatore, per torneo, per anno, per vittoria del Bianco o del Nero, per numero di mosse, per punteggio Elo ecc., anche mischiando i vari criteri; b) per variante d’apertura; c) per “motivo” (per es.: sacrificio di Cavallo in b5) d) per tipo di finale (per es.: Torre e pedone contro Torre e due pedoni).

Durante il torneo:
a) imparare a non muovere mai senza aver riflettuto, anche se la mossa è evidente o addirittura forzata;
b) amministrare il proprio tempo per evitare di rimanerne a corto;
c) non prendersela in caso di sconfitta; ricordarsi che ogni partita fa storia a sé.

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